La tecnica di lavorazione

Il procedimento della lavorazione del marmo artificiale è lungo, delicato e difficile: in media occorrono dalle dieci alle dodici ore per ottenerne una superficie di un metro quadro. Tradizionalmente viene impiegato come base un impasto di scagliola, trattata con collanti, che indurisce in circa dodici ore ed è molto levigabile: questa amalgama, cui sono aggiunti pigmenti colorati, è quindi stesa su una tavola di composizione, sopra un telo di iuta; si lascia addensare e, stirando il telo, raggrinzare fino alla formazione di spaccature.
Successivamente questi interstizi saranno riempiti con materiali che richiamano le venature del marmo da imitare: proprio questa è la fase di maggior abilità e creatività dell’artista.
A questo punto il composto è applicato alla superficie da decorare, che può essere la parete perfettamente piana di una lesena o di un soffitto, oppure quella curva di una colonna. Grazie alla presenza di acqua e collanti, l’amalgama aderisce perfettamente alla superficie: a questo punto la tela viene rimossa e inizia la fase della lisciatura, dapprima con una spatola di ferro e carta vetro grossa; poi con ben sette tipi di pietre diverse, via via più dure.
La superficie è levigata dapprima con pietra pomice grossa, poi con pomice fine e una pietra chiamata in gergo “terza verde”, che costituisce uno dei passaggi determinanti dell’intera lavorazione. Successivamente si passa a una pietra ollare fine della Scozia (simile a quella che un tempo serviva per affilare i rasoi), al marmo nero antico, a una pietra rossiccia dell’Elba, fino alla pietra di sangue ematite.
Paesaggio partenopeo in marmo artificiale Queste operazioni devono essere rigorosamente eseguite a mano, poiché solo l’occhio e il tatto dell’artista riescono a percepire il raggiungimento del risultato voluto. Tra una levigatura e l’altra la superficie viene stuccata o pennellata con colla pura; alla fine è passata con olio paglierino e cera vergine.
Quella del marmo artificiale, come tutte le lavorazioni artistico-artigianali, presenta alcune varianti, che si rendono necessarie in misura del risultato ricercato. Per esempio, l’impiego del telo di iuta accuratamente stirato era indicato per ottenere soprattutto delle venature in linea retta.
Oggetti in marmo artificiale Tuttavia gli artisti del marmo artificiale realizzavano spesso interventi con la semplice applicazione dell’amalgama sulla superficie da decorare con una cazzuola. In questo caso la difficoltà maggiore consisteva nel riuscire a mantenere sempre lo stesso spessore, senza premere troppo o troppo poco, correndo il rischio di formare delle irregolarità difficili poi da levigare. L’applicazione diretta con la cazzuola era utilizzata per piccole superfici, per forme particolari come i capitelli, oppure per realizzare tinte speciali.
Un altro aspetto significativo è quello legato all’uso dell’acqua. Il composto, in cui comunque era presente un minimo d’acqua, poteva essere applicato a secco oppure dopo essere stato bagnato, lasciando filtrare il liquido dosato in modo tale da non rovinare la composizione. Nel primo caso il distacco fra i colori sarebbe risultato molto sfumato, mentre nell’altro decisamente più netto.
Oggetti in marmo artificiale A detta degli esperti il risultato finale è comunque perfetto: la luce scorre come su una qualsiasi lastra di marmo, anche se al tatto la superficie del marmo artificiale risulta più calda.
Tra le colorazioni più richieste figurano rosso di Verona, rosso di Levanto, rosso di Sicilia, blu lapislazzuli, giallo di Siena, macchia verde, verde Alpi, verde cipollino, onice italiano, rosa di Portogallo, marmo rosa, granito, beige di Botticino, marmo bianco di Carrara, porfido.
Uno degli elementi architettonici più problematici da decorare con il marmo artificiale è sicuramente la colonna. L’amalgama era preparata su una tavola di composizione che aveva una superficie piana pari allo svolgimento di quella della colonna.
Il composto veniva poi sezionato in fette applicate su una tela, e quindi su un asse, larga venti centimetri e alta come la colonna. Una volta applicato alla colonna (questa fase era particolarmente delicata, poiché gli uomini si trovavano su ponteggi a più piani e dovevano fare attenzione a non urtare l’asse di appoggio), l’impasto era fatto aderire lungo i bordi alla superficie intonacata, con le mani.
Successivamente si applicava un’altra porzione di superficie sempre della larghezza di venti centimetri, e si continuava in questo modo fino a ricoprire tutta la colonna.