La Storia del Marmo Artificiale di Rima

La storia del Marmo Artificiale di Rima  non appartiene propriamente alla storia dell’arte, ma ad un più ampio contesto che unisce all’arte della scagliola quella della decorazione architettonica; inoltre, essa diventa importante testimone del gusto eclettico dominante in Europa a cavallo tra tardo Ottocento ed inizio Novecento.

E’ una storia che testimonia anche dei fenomeni di migrazione temporanea e qualificata, dei costumi e della vita sociale di intere generazioni di abitanti della Valsesia. Nel caso di Rima però  il fenomeno migratorio assume connotazioni complesse e particolari, trasformandosi in imprenditorialità di vaste dimensioni; alcune dinastie di rimesi fonderanno infatti veri imperi economici e stenderanno una fitta trama attraverso l’Europa, dalla Spagna fino ai Balcani, la Scandinavia e, ad oriente, fino alla Russia.

“Essi – scrive nel 1896 l’architetto di corte a San Pietroburgo, Messmacher, parlando degli stuccatori di Rima – hanno un talento eccezionale per la composizione dei colori e per il disegno del marmo artificiale, che è assolutamente conforme al marmo naturale”.

La cultura delle grandi realtà urbane europee vede coinvolti gli artisti rimesi del marmo, che si tratti di decorare luoghi del divertimento, della finanza, del potere politico o della memoria. Nel grande territorio asburgico, nella giovane potenza tedesca, nell’impero russo e nelle propaggini di quello ottomano, la fortuna incontrata dalle impresi del marmo artificiale di Rima si spiega soprattutto con il fervore architettonico che il cuore dell’Europa sta vivendo. Ben si adattava infatti il marmo artificiale  – con lucentezza e cromie di quello vero, ma assai maggior duttilità e minori costi –  a rivestire infiniti colonnati, esedre e nicchie, lesene, cornici e grandi scaloni. Molto poi, nelle tragedie delle guerre del secolo XX, andrà distrutto, intere fortune disperse, così come interi archivi documentari e fotografici. Ricostruire il percorso del marmo di Rima nell’Europa centrale ed orientale, passate attraverso capovolgimenti, rivoluzioni e apocalittiche distruzioni, appare oggi un’impresa assai difficile. Pensiamo solo a Berlino rasa al suolo o alla rivoluzione russa…

Le ragioni di un successo

Anche se il marmo artificiale in Europa aveva dato segni di successo già nel secolo XVIII, possiamo affermare che solo l’inedito fervore edilizio delle capitali dopo la metà dell’800, quindi, dà avvio al suo impiego su ampia scala.

Per la verità, l’arte della scagliola ha origine nella pianura emiliana in età cinquecentesca; la sua applicazione, con largo uso dell’intarsio, conosce una certa diffusione, in particolare per quanto attiene le architetture ecclesiastiche e i paliotti d’altare. Alcune varianti di quell’arte troveranno poi cittadinanza presso gli stuccatori luganesi ed intelvesi in particolare. Anche nei principati tedeschi e di Boemia del secolo XVIII si ha notizia di stuccatori in grado di realizzare opere eccelse in marmo artificiale.

Ma solo a Rima si instaura in età moderna un meccanismo di produzione la cui notorietà varca i confini e si impone quasi con un monopolio in Europa.

Da sottolineare anche l’organizzazione operativa messa a punto dagli stuccatori di Rima, in tutti i loro cantieri: essi conservano solo per sé il segreto delle fasi salienti del processo di creazione, che sempre rimarranno appannaggio degli uomini di Rima, e affidano a mano d’opera locale, gli aspetti meno difficili del processo creativo. Sono loro che conoscono i pigmenti e creano i difficili accostamenti cromatici con intuito e sensibilità speciali; sono loro – i maestri di Rima – che compongono il marmo ad arte, come dicevano, e cioè il disegno delle venature a secco o quello dell’impasto a macchie.

In loco poi talvolta acquisiscono cave dalle quali ricavare direttamente la materia prima: la scagliola o gesso; così hanno fatto in Russia e in Romania.

Gli artigiani di questo piccolo paese valsesiano sviluppano dunque nel secolo XIX una singolare abilità nella lavorazione dello stucco, perfezionando la già esistente tecnica di imitazione del marmo fino a raggiungere risultati di eccezionale qualità.

In breve, alcuni stuccatori più intraprendenti riescono a dare al loro lavoro una dimensione imprenditoriale, coinvolgendo poi nei cantieri aperti in Europa tutti gli altri; in una realtà sociale assai limitata (Rima non ha mai superato i 250-300 abitanti complessivi!) si crea così una sorta di aristocrazia fondata sul mestiere, una élite che, detenendo una competenza pressoché esclusiva, la trasmette alle sole famiglie locali ed impara a ricavarne il massimo beneficio. Per le grandi famiglie di impresari lavorano dunque tutti gli anni, andando e venendo attraverso le Alpi, e viaggiando fino alla lontana Russia o fino alle propaggini dell’impero ottomano, gli uomini di Rima: Viotti, Dellavedova, Valentino, Bastucchi, Giavina, Giobbe, Giulietti, Tosser, Doda, Antonioli, Ragozzi, Alberti…..Essi apprendono da bambini il mestiere e per tutta la vita lavoreranno all’estero.

Cosa decisamente sorprendente è che essi entrino altrettanto rapidamente in diretto contatto con le corti, di modo che le committenze di cui beneficiano sono perlopiù di altissimo livello.

I protagonisti

Possiamo affermare che il primo ed illuminante caso di imprenditore del marmo artificiale è Antonio De Toma (1821-95). Parte all’età di 11 anni da Rima e si reca a Monaco, dove già si trovavano alcuni stuccatori del paese; là rimane fino al 1844, quando si sposta a Stoccolma e poi a Berlino e Vienna.

Egli diventerà famoso per aver lavorato a lungo nelle regge di Ludwig e nella Vienna imperiale. Nasce a Berlino nel 1865 suo figlio Antonio, e a Vienna si sposa la figlia nell’anno 1900, alla presenza dell’ambasciatore del Regno d’Italia, Costantino Nigra.

Inoltre, è importante il suo ruolo nella costruzione del Castello dei Rotschild a Pregui presso Ginevra; lì lavora alle sue dipendenze anche Pietro Axerio-Cilies; egli in seguito parteciperà alla fondazione a sua volta di altre grandi imprese di decorazione in marmo artificiale: una, con sede a Berlino e San Pietroburgo, sorge ad opera dei cugini Axerio-Piazza; l’altra sorgerà a Bucarest per mano sua e del fratello Giovanni. Va detto che inizialmente troviamo forme di società tra De Toma e Axerio a Berlino, ad indicare i legami complessi tra le imprese.

Berlino, dunque saranno presenti tutte le imprese di Rima, in diverse fasi. Oltre che nei palazzi imperiali e nelle banche, esse intervengono significativamente nella realizzazione della Museum Insel, l’Isola dei Musei lambita dal fiume Spree che rappresenta il vertice del prestigio culturale dei Kaiser, venendo a costituire un polo del collezionismo europeo assolutamente d’eccezione.

Il tema delle architetture museali ben si presta d’altronde – proprio perché ricco di implicazioni di carattere storicista – ad un’ampia declinazione di decorazioni in finto marmo. Agli Axerio sono commissionati gli stucchi ed i marmi del Kaiser Friedrich Museum, piu’ noto come BODE MUSEUM  dal nome del celebre direttore, completato nel 1904 su progetto dell’architetto von Ihne in stile neo-barocco e neo-rinascimentale e sorto per ospitare le opere più importanti delle ricchissime collezioni degli Hohenzollern. Una lettera del 1903 di Ernesto Giavina, altro maestro stuccatori collaboratore di De Toma e Axerio, ci rende testimonianza del loro lavoro: “La cupola riesce bene non è ancora terminata dovendo attaccare piccole mensole e altra roba in scultura, la parte di dentro resta liscia…nel Museo è riscaldato…si lavora solo in certe parti dove non c’è pericolo che gela”. Ma anche nel NEUES MUSEUM, galleria di arte antica, e nel grandioso PERGAMON MUSEUM, costruito per accogliere enormi reperti mesopotamici ed ellenistici, gli Axerio ricevono incarichi di lavoro.

San Pietroburgo e Mosca, Pietro Axerio-Piazza con i figli Giulio Antonio e Giovanni, che era pittore, lavora per 5 anni al Museo delle Arti e Mestieri. Resteranno in Russia per trent’anni, dal 1889 al 1919.

Scorrendo la lista degli interventi della loro ditta, si ha un’idea della loro importanza: palazzi principeschi (Jusupov, Polozof), musei (Ermitage, Arti e Mestieri, Alessandro III), grandi alberghi (Hotel Europa, Astoria, Monopol, Metropol, Praga, Balscioi), grandi banche (Imperiale, di Azoff, Commercio Estero, S.Pietroburgo, Cassa di Risparmio, Iunker, di Siberia, Industria e Commercio…). Si aggiungano opere all’interno del palazzo imperiale e di quello della Duma, sebbene anche a livello edilizio.

Nei documenti redatti in epoca fascista allo scopo di tentare di recuperare la loro fortuna espropriata dallo stato sovietico, si afferma, tra le altre cose: “I sottoscritti fratelli Axerio esercitavano in Russia una delle più floride aziende d’impresa di costruzione e decorazione…La Direzione della Ditta e della maestranza erano esclusivamente italiane e nel 1914 in Russia solo si occupavano oltre 2.000 operai muratori, stuccatori, pittori, scultori, marmisti, falegnami, fabbri, ecc., nonché architetti, ingegneri…”.

Bucarest, i fratelli Axerio-Cilies, Pietro e Giovanni, giungono intorno agli anni ’80 su richiesta di Carlo I Hohenzollern (1881-1914), che assume il governo prima come principe e poi come primo sovrano della nuova Romania. A questo principe tedesco di gusti decisamente europei il compito di trasformare l’antica città della Valacchia – balcanica e orientaleggiante – in una moderna capitale europea. Possiamo ben dire che Pietro Axerio condivida con lui – e con gli architetti parigini Albert Galleron, Paul Gotterau, Albert Ballu, Cassien Bernard, Théophile Bradeau…- il percorso di trasformazione di Bucarest realizzando alcune delle più belle decorazioni architettoniche. Egli diventa uomo di fiducia della corte e della regina: sarà proprio lei a volere l’Ateneo della Musica (1886-95), il più affascinante tra gli edifici in cui interviene Axerio.

La lunga presenza a fianco del re viene premiata da un “brevetto con medaglia d’argento per la loro valentia come stuccatori e decoratori in gesso” nel 1886, un altro brevetto con medaglia d’oro nel ’90 ed il titolo di “Cavalieri della Corona di Romania”.

Sulla scia delle numerose committenze reali  (Palazzo Reale di Bucarest, Palazzo Reale di Cotroceni, Ateneo..) e di governo (Palazzo di Giustizia, Palazzo del Ministero dei Lavori Pubblici, Banca Nazionale Romena…), si aggiungono le opere richieste dal Capitolo della Cattedrale Cattolica di Bucarest (San Giuseppe, 1887-88) e da grandi alberghi (Athenée Palace, 1911-14).